« Don't Say Goodbye», Gilmore Girls (Rory/Logan)

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hoppìpolla‘
view post Posted on 6/1/2010, 21:22




« Don't Say Goodbye »
“don’t say anything tonight, if you’re gonna say goodbye”
note-- non so a voi ma, a me, non è mai andato giù il finale di Gilmore Gilrs - "Una Mamma Per Amica". Sono sempre stata una grande fan di questo telefilm - ultimamente l'ho rivisto dall'inizio alla fine - e il finale.. bè, non va bene. Non è alla "Gilmore". Rory che ottiene subito un lavoro, che rifiuta la proposta di Logan (sì, sono una fan della coppa Rory/Logan) e non sembra nemmeno starci male, insomma.. è finto. E' un finale tanto per far finire la serie - rovinandola, aggiungerei.
Perciò mi è venuta in mente questa fanfic. Voglio scrivere il mio finale, per dare - almeno nella mia testa - un finale degno di una mamma per amica, o almeno che si avvicina al mio finale. Perciò, preparatevi a rimanere scioccati ù.ù
Cosa accade prima? Se non avete visto una mamma per amica - FATE MALE! - vi spiego brevemente cosa accade. Rory e Logan stanno insieme, dal collage. Sono innamorati pazzi, Logan propone a Rory di sposarlo, ma lei rifiuta per inseguire la sua strada. (Nel telefilm lei ottiene un posto nella campagna di Obama) Ma, in questa fanfic, non ottiene nessun lavoro: tenta di entrare per giornali, e inizialmente va bene, ma poi passa sempre da una redazione all'altra, senza trovare il suo trampolino di lancio. E Logan? *muhahahah*

1.0

"Let me tell you something about love. It does not knock often; and when it does, you have to let it in."
Brooke Davis, One Tree Hill

Mi raccolsi malamente i capelli con una pinza, lasciando libera la frangetta disordinata, che a seguire sistemai appiattendola con la mano. Mi misi la borsa in spalla e uscì di casa. Mi fermai prima da Luke, dove presi un caffè da portare via, sentendo il bisogno di una buona dose di caffeina, e senza ascoltare più di tanto le sue lamentele, uscii dal locale e salii in macchina. Iniziai a guidare verso New York, sorseggiando a poco a poco il caffè bollente, per sostenere un colloquio come giornalista in un piccolo giornale. Dopo il diploma mi ero dedicata interamente alla ricerca di un buon lavoro, senza grandi risultati. Avevo scritto alcuni articoli per sconosciuti giornali, ma non avevo ancora trovato il trampolino di lancio. Speravo che quella fosse l’occasione giusta. Arrivai con almeno mezz’ora di anticipo, e ne approfittai per fermarmi in un chioschetto vicino alla sede del giornale per prendere un altro caffè. Una schifezza in confronto a quello di Luke, è doveroso ammetterlo, ma non potendo avere di meglio mi accontentai dell’acqua colorata che mi avevano dato, spacciandola per caffè; dopo di che ricontrollai l’ora, e dopo essermi assicurata di aver chiuso l’auto con l’antifurto, attraversai la strada, svoltai a destra e mi ritrovai davanti all’entrata dell’enorme palazzo che ospitava la sede del giornale. La leggera tensione che provavo durante i colloqui, col tempo era andata via scemando, e ora in me predominava un’atipica tranquillità. Entrai con passo sicuro, e entrai nell’ascensore metallizzato insieme ad alcuni uomini in giacca e cravatta, i quali a prima vista sembravano persone familiari, ma poi mi ricordai che gli uomini di affari in giacca e cravatta erano tutti uguali. Arrivata al piano, uscii da quella scatola metallica varcai la soglia di un lungo e largo corridoio che terminava con un bancone semicircolare, di legno, dietro il quale era seduta una segretaria che si spostava da un altro all’altra con estrema fretta. Era decisamente un comportamento atipico in una sede di giornale. Confermarono la mia tesi dei ragazzi in giacca e cravatta che all’improvviso spuntarono da un lato del corridoio e corsero a gran velocità dall’altra parte, sparendo dietro un altro corridoio. Sentii numerosi toni innervositi di giornalisti e dirigenti che sbraitavano contro le povere segretarie e i poveri stagisti. Mi domandai se avessi sbagliato piano, e per un attimo fui tentata di ricontrollare il biglietto dove mi ero appuntata l’indirizzo, ben conservato nella mia borsa, ma poi mi ricordai due fatti che mi convinsero a non farlo: per prima cosa, avevo già controllato l’indirizzo prima di scendere dalla mia macchina, e rifarlo sarebbe stato da sciocchi, poiché ero sicura che la mia mente potesse ricordare dei particolari dopo un così breve lasso di tempo, e seconda, ma non meno importante, mi ero appuntata le indicazioni su un pezzo di cartone dei contenitori del cinese che quella sera avevo consumato con mia madre, e mi sarebbe stato imbarazzante tirarlo fuori in quel momento. Perciò, con un leggero disagio, mi avvicinai alla giovane signorina dietro al bancone, e domandai dove si tenessero i colloqui. Alzò gli occhi, e mi guardò attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali, e un ciuffo di capelli ricco cadde da dietro il suo orecchio. Deglutì rumorosamente, spinse gli occhiali contro il proprio naso, «Co..come, scusi?» balbettò in preda al panico. Le sorrisi, come per un messaggio in codice che significava “stia tranquilla, sono sua amica”, e ripetei la mia richiesta. «Salve, buongiorno. Sono Rory Gilmore, o Lorelai Gilmore, non so con quale nome sono stata segnata; avevo preso poco tempo fa un appuntamento per un colloqui questa mattina alle undici in punto.»
«Impossibile!» esclamò a gran voce. «Sono stata molto meticolosa in questo: ho annullato ogni appuntamento di oggi, a causa dell’imminente arrivo del nuovo proprietario del giornale – o chi ha comprato le azioni del giornale – e ci è stato chiesto esplicitamente di disdire ogni appuntamento. Sono certa, certissima di averlo fatto» Sorrise soddisfatta, convinta che mi stessi sbagliando. Ma no, veramente non ho ricevuto nessun messaggio, evidentemente non è così efficiente quanto crede di essere, avrei voluto rispondere, invece le sorrisi. «Sono certa di non essere stata informata. Non ho sentito messaggi in segreteria, né sul mio cellulare, né sul telefono di casa. Probabilmente avrò perso la vostra chiamata» cercai di intenerire quanto più possibile il mio tono di voce.
In quel momento passò di fronte al bancone un uomo sulla cinquantina, con una barbetta incolta bianca, pochi e disordinati capelli, in carne, che indossava una giacca di un grigio scuro, e una cravatta rosa pallido, scelta azzardata, dato che stonava con tutto il completo. Quando si accorse della mia presenza, mi scrutò con i suoi piccoli occhietti maligni, e poi si girò verso la segretaria. «E lei chi diavolo è, Julie?!» domandò bruscamente alla segretaria, che si tramuto in un pezzo di marmo tremante. «Signor Stewart, lei è… insomma, lei… questa signorina doveva avere un… colloquio, sì, un colloquio questa mattina…» biascicò, aggiungendo altre scuse che, purtroppo, non riuscii a comprendere.
«Che cosa?!» La sua faccia paffutella divenne rossa di rabbia. «Avevo dato il preciso ordine di disdire ogni appuntamento!» La segretaria, incapace di fornire una buona scusa, mi guardò supplichevole, quasi implorandomi di venirle in aiuto. Avrei tanto voluto gustarmi la scena, poiché poco prima mi aveva trattata come se fossi un’emerita cretina, ma poi il buon senso prese il sopravvento. «Mi scusi signor Stewart, sono Rory Gilmore. Purtroppo non ho ricevuto il messaggio, poiché stiamo ristrutturando casa e il telefono per il momento è disabilitato, e avevo fornito alla redazione solo il mio numero di casa, e non quello di cellulare. Mi dispiace tantissimo per il disturbo recatovi.» Sorrisi cordialmente, e lui sembrò, almeno, tornare a respirare. Ero veramente brava a mentire.
«Anzi, mi scusi. Avremmo dovuto chiederle un altro recapito. E’ stata una grossa mancanza da parte nostra. E soprattutto, abbiamo dovuto annullare tutti gli appuntamenti di questo giorno con un breve preavviso, e non sono sorpreso che qualcuno non abbia ricevuto il messaggio. Per fortuna lei è la prima, ma prevedo che ce ne siano molti altri. In ogni caso, mi scuso infinitamente per il suo viaggio a vuoto. Se vuole, può prendere immediatamente un altro appuntamento. La nostra segretaria, Julie, potrà aiutarla.» Mi sorrise brevemente, e quando accettai, e mi avvicinai alla segretaria, prese un fazzoletto dal suo taschino e si asciugò il sudore sulla fronte. Stavo discutendo con Julie, quando sentii quel tintinnio di porte metalliche che si aprono, e capii che il “grande capo” era arrivato. Il signor Stewart, battendo il record di corsa veloce, si catapultò ai lati dell’ascensore, dando il benvenuto al grande uomo di affari che stava per entrare nel corridoio. A quel punto, sapendo di dover sparire all’istante, mi congedai velocemente dalla segretaria, e mi misi in un angolo, pronta a fuggire, benché fossi curiosa di sapere chi fosse questo grande uomo. Un bisbiglio si sollevò tra i dipendenti che nel frattempo si erano allineati ai lati del bancone di legno. “E’ arrivato, è arrivato!”, “è così giovane!” “davvero?” “sì! Avrà almeno vent’anni. Forse ventidue, o ventitré” “No, non ci credo. Fammi dare un’occhiata!”. Questi mormorii m’incuriosirono non poco. Mi sporsi quanto bastava per osservare il corridoio e vidi il nuovo proprietario del giornale. In quel momento sentii ogni muscolo del mio corpo bloccarsi in quella posizione, il fiato mi venne meno, come la forza nelle mie gambe. Lì, in mezzo al corridoio, nella sua solita compostezza ed eleganza, c’era Logan. Logan Huntzberger. Sì, il mio Logan, benché ormai non fosse più mio. Era lui, in persona. Non un pupazzo, né uno scherzo; Il solito ragazzo biondiccio, con un sorriso che avrebbe fatto crollare davanti a se miliardi di donne. Il mio più grande desiderio in quel momento era di possedere una pala, così da scavarmi un tunnel sotto i piedi per arrivare dritta a Tokyo, pur di non avere un faccia a faccia con Logan. Non lo rivedevo dal giorno del diploma, quando rifiutai la sua proposta di matrimonio. La nostra storia era finita con una tale velocità che per molto tempo non mi ero resa conto di cosa fosse realmente successo. Non me ne rendevo conto tuttora, con lui a pochi metri da me. Logan alzò lo sguardo e scorse il mio viso tra la folla. Ne fui certa a causa della sua espressione sorpresa, sbigottita, come se avesse visto un fantasma. Strinsi, con tutte le mie forze, la fibbia della mia borsa a tracolla, sperando nell’arrivo di Superman, o Spiderman, a salvarmi; ma ciò non accadde. Mi rintanai in un angolo, cercando via di fuga, ma ero bloccata: a destra avevo una quarantenne con un cattivo gusto nel vestire, e dell’altra parte un ragazzo occhialuto, con un sorriso smagliante come se volesse dire “eccomi, qui, sono l’uomo che cercavi”. Andai in panico, il cuore iniziò a battermi all’impazzata, tanto che temetti di crollare al suolo; ero quasi tentata di chiedere all’uomo occhialuto al mio fianco di tenermi nel caso fossi svenuta.
Logan avanzò di qualche passo, arrivando vicino alla folla, continuando a guardarmi stupito, probabilmente sperando che fossi solo un’allucinazione.
«Signor Huntzberger, il nostro giornale è efficiente, pratico, famoso, efficace. Tantissimi studenti di prestigiose università inviano lettere di congratulazioni per i nostri interessanti articoli…» e bla, bla, bla. Per fortuna Logan non sembrava prestargli tanta attenzione. Fra le qualità che Stewart possedeva, la modestia non era sicuramente fra quelle. Logan annuiva, fingendo di seguire il discorso. Spostò il suo sguardo quando Stewart gli presentò Julie, e a seguire ogni membro della redazione. Mamma mia che noia. Nemmeno il papa in persona avrebbe avuto un’accoglienza del genere. Pian piano Logan si avvicinava sempre di più a me. Tentai di nascondermi dietro al ragazzo occhialuto, lanciandogli sguardi eloquenti, ma sembrava troppo tonto per capire: mi stava antipatico; probabilmente perché sembrava che mi spingesse verso Logan, come per dire “vai, vai da Logan, su, vai vai.” Quando Logan si fermò davanti a me, a pochi centimetri dal mio viso, desiderai ardentemente una mazza da baseball da spaccare in testa al ragazzo. Grazie, ragazzo occhialuto! Logan si sporse verso il signor Stewart, che lanciandomi un’occhiata sprezzante, balbettò in risposta qualcosa.
«Mi scusi, ehm… vede, signor Huntberger, purtroppo la signorina…» mi guardò, aspettando che gli dicessi il mio nome. Logan aprì bocca, ma lo anticipai.
«Gil..Gilmore.» balbettai, facendo una gran bella figura da idiota patentata.
«Gilmore,» proseguì, « non ha ricevuto il messaggio di disdetta del suo appuntamento per un colloquio, e si è presentata all’improvviso questa mattina. Siamo veramente dispiaciuti per tale errore.»
«Non c’è problema» rispose Logan con prontezza, fissandomi intensamente. Avrei voluto sciogliermi come neve al sole, oppure esser colpita da un meteorite, o anceh da un aeroplanino di carta, o anche da una mosca, o da uno sputo, qualsiasi cosa da poter usare come scusa per fuggire via. Sentì gli occhi del signor Stewart su di me, invitando a presentarmi.
«Oh, mi scusi,» mormorai imbarazzata. «Ro… Rory, Gilmore, piacere….» esitai, «Signor Huntzberger.» Non sapevo come comportarmi. Cosa avrei dovuto dirgli? Cercare di essere amichevole, come se non fosse accaduto nulla? Era una situazione complicata. Io l’ho amato più di ogni altra cosa, eppure avevo rifiutato la sua proposta di matrimonio, mettendo fine a un rapporto che… bè, era stato epico. La nostra storia era così surreale, fantastica, da sembrare scritta dai produttore di una soap opera, o di un telefilm della CW. Logan rimase in silenzio qualche minuto, prima di rispondere debolmente: «piacere, signorina Gilmore.» per poi passare a quel tizio, ormai mio nemico acerrimo, “l’occhialuto”, che abbozzò un ghigno crudele e vittorioso. Quanto avrei voluto prenderlo a cazzotti. Ma non potevo, perché ero Rory Gilmore, e perché ragionavo almeno venti volte prima di compiere un’azione del genere.
Quando Logan terminò il giro di presentazioni, il signor Stewart lo accompagnò per il tour del piano, e ne approfittai per svignarmela. Dovetti impiegare tutta la mia concentrazione per non correre verso l’ascensore, e quando, finalmente arrivata, premetti il bottone, mi sentii… al sicuro. Come il campione che arriva alla meta. Ero riuscita a sopravvivere, ed era già molto. Probabilmente non l’avrei rivisto più, e quindi era inutile pensarci. Mi accorsi solo allora di aver ricominciato a respirare regolarmente. Grazie al cielo ero ancora viva; anche se l’idea di morire per asfissia, mi allettava non poco: avrei potuto far incolpare in qualche modo il tizio occhialuto, facendolo marcire in galera soltanto per starmi antipatico e bè, per non avermi aiutato. Continuai a pensare a mille modi su come vendicarmi, e mi scordai quasi completamente dell’incontro. Mi sembrava lontano anni luce. In quei momenti assomigliavo molto a mia madre: parlare, pensare, a tutto fuorché a ciò che ti preoccupa. Mia madre e le sue perle di saggezza. Sì, mia madre avrebbe dovuto fare la psicologa. Arrivata a casa, probabilmente, gliene parlerò.
Stavo avvicinandomi alla macchina quando sentii in lontananza una voce.
«Ehi, scheggia!» Scheggia? No, non si riferivano a me. Nessuno mi chiamava scheggia, eccetto… impallidii. Mi girai macchinalmente, quasi come un robot - mi debbo appuntare questa similitudine, nel resoconto a mia madre – e vidi Logan, sì, quel Logan, corrermi incontro.
«Rory! Ti sto urlando contro da almeno cinque minuti. Ti sei scordata il tuo nome?» Un sorriso, ecco apparire il suo sorriso, quel sorriso da teppistello.
Abbozzai un sorriso imbarazzato. «E’ da molto che non mi chiamano scheggia…» A dir la verità, nessuno mi aveva mai chiamata scheggia se non lui, ma non lo dissi. Fissai intensamente un punto all’orizzonte, per non osservare il suo viso. Sentii un debole “già”, provenire dalle sue labbra.
«Allora… Come… sì, come ti va la vita?» tentò di scogliere il ghiaccio. Sarebbe più efficace un falò, sai.
Distolsi lo sguardo dal grattacielo che continuavo a fissare – e oltretutto, non era sto granché – e posai lo sguardo su di lui.
«Bene, sì. A te?» Le mie parole sembrarono lastre di ghiaccio scagliate come le saette di Zeus.
«Bene.»
Calò il silenzio, uno di quelli imbarazzanti, che mi fece sentire molto a disagio ma non potei, in ogni caso, trovare parole adeguate per colmare quel momento piatto. Non sapevo davvero che dire. Mi mancavano le parole.
«Io…» iniziò, «Forse dovrei tornare in redazione. Ma prima, vorrei chiederti una cosa.» Si fermò, e dopo un mio cenno di proseguire, «bè… volevo chiederti se ti andava di prendere un caffè insieme. Sarò a New York per un paio di giorni.»
«Logan, non mi sembra una buona idea.» Fui sincera, schietta. Uscire, dopo quello che era successo, era una di quelle stupidaggini alla Logan Huntzbeger.
«Rory, perché? Il passato, è passato. Siamo andati avanti, no? E ora, bè, non trovo buoni motivi per non tornare a essere amici. E’ solo un caffè, e poi tu adori il caffè. Se rifiuti si potrebbe scatenare l’apocalisse» Mi scappò una breve risata, e ciò… sciolse il ghiaccio che aveva avvolto tutto il mio corpo. Ci riflettei su, e non volendo né potendo rifiutare – non avrei comunque trovato la forza per farlo – accettai, facendo un segno di assenso con la testa.
«Perfetto. Ora… bè, dovrei andare. Devo tornare a Stars Hollow in tempo. Ehm.. bè, ti lascio il mio nuovo numero, così ci accordiamo per quel caffè.» dissi tirando fuori il pezzo di cartone dove avevo scritto l’indirizzo del giornale. Logan mi lanciò uno sguardo interrogativo. «Non avevo di meglio, e andavo di fretta» mi giustificai con un sorriso, prendendo dalla tasca della giacca una penna e scrivendo il mio numero da un lato del cartone, per poi strappare quel pezzo e passarlo a Logan. Lui sorrise, e poi lo mise nella tasca della sua giacca.
«Bè, allora ti lascio andare. Ci vediamo, scheggia» Indugiò qualche secondo prima di fare marcia indietro e dirigersi verso il palazzo, tornando al suo lavoro. Lontana dalla sua vita potei rendermi conto di quanto fossi stata stolta accettando quell’invito. Sarebbe stata una tortura, insomma… non era salutare per entrambi. E, soprattutto.. cosa ci saremmo detti? Era da folli; da masochisti. E poi, “scheggia”. Perché continuava a chiamarmi “scheggia”? Mi faceva sentire… bè, ecco, provavo una certa tristezza, malinconia nel sentirmi chiamare in quel modo. Forse avevo qualche rotella fuori posto, e per questo facevo dei viaggi mentali enormi. Sospirai ed entrai in auto, ripartendo per Stars Hollow.
 
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ƒorks´
view post Posted on 8/1/2010, 16:55




commentata sul pf O_O
 
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hoppìpolla‘
view post Posted on 8/1/2010, 18:55




si thanks *W* già letto il tuo commento ù.ù
 
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ƒorks´
view post Posted on 8/1/2010, 19:18




missà che ho rovinato l'effetto sorpresa o_o potresti farli direttamente finire a letto insieme! (: ahaha
 
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'starcrossed
view post Posted on 8/1/2010, 23:50




Woow hai scritto proprio gualcosa "Gilmoriana"
cioè Rory si sarebbe comportata di sicuro così..
poi il fatto di scrivere l'indirizzo su un cartone del cibo cinese, è tipico di lei!!
Complimenti davvero!!
Mi piace il tuo modo di scrivere,molto divertente e originale..

CITAZIONE
facendo una gran bella figura da idiota patentata.

questa mi è piaciuta tantissimo!!
 
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;apple.
view post Posted on 9/1/2010, 00:08




yeeeeeeeah anche io amavo rory e logan e adesso che ci penso mi sono persa le ultime puntate dell'ultima serie ò.ò domani recupero ù.ù
btw, beeeeellissimo questo capitolo. sei entrata benissimo nella mente di rory. riesco ad immaginarmela perfettamente e beh, questo pezzo
CITAZIONE
per prima cosa, avevo già controllato l’indirizzo prima di scendere dalla mia macchina, e rifarlo sarebbe stato da sciocchi, poiché ero sicura che la mia mente potesse ricordare dei particolari dopo un così breve lasso di tempo, e seconda, ma non meno importante, mi ero appuntata le indicazioni su un pezzo di cartone dei contenitori del cinese che quella sera avevo consumato con mia madre, e mi sarebbe stato imbarazzante tirarlo fuori in quel momento.

è proprio alla Gilmore XD
continua prestoooooooo voglio il lieto fine ù.ù
 
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hoppìpolla‘
view post Posted on 9/1/2010, 00:26




thanks *W* mi sono impegnata in questa storia ù.ù *sisi* ahaha xD
comunque, kerol, non guardarle le ultime puntate, ti rovineresti il telefilm ù.ù fanno caghèr ù.ù
 
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;apple.
view post Posted on 9/1/2010, 15:06




no ma adesso che ho guardato i titoli credo di essermi persa un'intera serie ò.ò
prima o poi recupererò XD
 
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7 replies since 6/1/2010, 21:22   4185 views
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